Avevano speso molto del loro tempo chini sui libri a studiare gli scritti di uomini e di donne vissuti prima di loro, in cui si parlava dell’importanza dello studio e di come da esso trovasse miglioramento l’agire dell’uomo, sempre teso verso il progresso.
Avevano le spalle curve dal peso di tutto quello studio e le loro teste faticavano a restare sopra di esse, tanto era imponente ciò che erano chiamate a contenere.
Fuori da quegli studi sembravano inutili, perfino indifesi ed ogni loro passo in questo mondo ostile poteva essere fatale al loro esile vivere.
Nessuno vi badava e le persone erano tutte prese a correre appresso a miti ed a mode spesso effimeri.
I libri, poi, non si leggevano più, nonostante in molti ne scrivevano, ma spesso senza senso.
Le televisione blateravano messaggi all’altezza di chi li stava a sentire, ma l’uditorio si abbassava sempre più e non c’era verso che si rialzasse.
Sotto l’ombra della grande quercia si ritrovavano nei tiepidi pomeriggi di primavera e discorrevano per ore. Erano in pochi a parlare, ma circondati delle tante persone di cui narravano le gesta, i pensieri e le opere, ad ascoltarli pareva esservi una moltitudine ed anche se nessun altro si accostava a scambiarvi frasi, loro non erano mai soli.
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