venerdì 23 settembre 2011

PREMESSA

In questi brevi racconti non albergano certezze, essi prendono spunto da delle domande che ne costituiscono il titolo, l’incipit ed il senso della narrazione.
Non vi sono risposte, ma solo stimoli di riflessione: dei piccoli sprazzi, appunto, senza la pretesa di contenere nulla se non le parole che vi sono scritte.

HAI VISTO MAI ?


Quel tale all’angolo della strada si ostinava ad affacciarsi all’improvviso da dietro lo spigolo del palazzo non appena avvertiva il sopraggiungere di qualcuno.
I passanti, sorpresi da quella figura che inaspettatamente gli si parava davanti, stentavano quasi a scansarlo prima di sbatterci contro.
Più di qualcuno era sobbalzato e i più distratti ci si erano pure scontrati.
Per tutti, comunque, superato il primo momento di sconcerto, aveva da ripetere la medesima domanda, cui nessuno riusciva, né poteva, trovare la risposta.
In compenso non si perdeva d’animo e continuava instancabilmente a ripetersi con orologeresca precisione e sincronia di gesti e di parole.
Solo se lo si osservava da lontano, soffermando l’incedere della propria fretta almeno per un sufficiente lasso di tempo, si poteva capire che tutto quel suo affannarsi monotono dei movimenti era dettato dalla necessità di ritrovare qualcosa o qualcuno che in precedenza aveva perduto, magari altrove o forse proprio nel limitare di quell’angolo.

LEI LO SA CHI SONO IO ????


Apostrofò con malcelata disperazione lo sfortunato avventore del ristorante.
Lo sguardo attonito e smarrito del cameriere non sembrava sapere a cosa appigliarsi per giustificare lo spiacevole episodio verificatosi a causa di una sua imperdonabile disattenzione: la camicia elegante del cliente mostrava una vistosa macchia, proprio sul petto. Il consommè era stato particolarmente gradito, dato che in pochi attimi si era già assorbito.
Gli improperi del malcapitato continuavano con il maitré, subito accorso appena si era reso conto che qualcosa non andava.
Del resto, il prestigioso locale era completamente deserto, eccettuato quell’unico cliente, per giunta bistrattato da un servizio non all’altezza delle circostanze.

ERA LEI ?


Sotto il capellino di Borsalino i capelli raccolti attentamente con le mollette colorate formavano un’acconciatura che ricalcava perfettamente le fotografie delle modelle più in voga.
Gli occhi, rigorosamente nascosti da grandi occhiali scuri dalle forme esageratamente ovali, non si potevano riconoscere, né distinguerne il colore dal bruno delle lenti. Che ne fossero diversi si percepiva, ma di quanto se ne distaccassero non era dato valutarlo.
Sotto gli occhiali il viso assumeva con impeto le sembianze seducenti e tratteneva le guance con lineamenti asciutti che conducevano abilmente gli sguardi verso le labbra, dichiaratamente espressive ma artefatte esageratamente col rossore acceso e luminescente, complice una famosa marca di rossetto, utilizzata la mattina per trattenere il più a lungo possibile l’espressività dei sorrisi. I denti, perfettamente bianchi, abbagliavano quasi i malcapitati che si trovavano a guardarli.
La camicetta, vistosamente allegra e spudoratamente sbottonata, lasciava intravvedere della epidermide liscia e candida che scivolava indiscreta fino a sollevarsi in forme sostenute da appositi indumenti intimi, nascosti solo apparentemente.
Che le forme fossero giuste non vi erano dubbi, a giudicare dagli sguardi che attiravano al mostrarsi volentieri tutte intorno.
Quella striscia di pelle che sortiva tra la brevità della camicetta e la bassezza della vita del calzone che vi era sotto aiutava gli sguardi a scendere e a non soffermarsi troppo in un punto.
Gli stessi jeans, esageratamente attillati sembrava volessero mostrare a forza tutto quello che vi erano contenuto, ma finivano inevitabilmente per far scivolare verso le caviglie e le scarpe, rigorosamente rosse.
Anch’esse erano di marca, come tutto il resto degli indumenti e degli accessori, con tacchi alti in modo da aiutare a rendere la figura ancora più slanciata e seducente, se mai ve ne fosse stato bisogno.
L’unica perplessità che assaliva improvvisa la mente dell’uomo che aspettava, circondato da tutte queste donne simili d’aspetto, era senz’altro nella difficoltà di riconoscere quale tra loro fosse quella con cui aveva stabilito l’appuntamento.

CI VUOLE MOLTO ?


La domanda, pronunciata a bruciapelo, con un tono scostante e per nulla gentile, attraverso quell’esile vetro che separava chi l’aveva espressa, al di fuori della cabina, impaziente di entrarvi e colui che vi era all’interno, con il ricevitore in mano ed intento in una animata conversazione con qualcuno che si trovava chissà dove, aveva avuto l’effetto di indispettire oltremodo solo chi non aveva avuto il buon senso di pazientare ancora.
Il ricevitore dava sicurezza a chi lo aveva in mano e rendeva quasi indifferente verso tutto ciò che avveniva intorno: figurarsi se poteva venire in qualche modo influenzato dalle lamentele di chi attendeva, con sempre più ansia, che arrivasse il proprio turno.
La cabina era piccola, difficile da penetrare, per via di quelle porte strette e dure da spingere, incredibilmente trasparente e per nulla garante della privacy, dato che tutte le parole pronunciate dentro, anche sottovoce, fuori venivano trasmesse fedelmente e chiunque vi si trovava nei pressi le poteva udire distintamente.
Anche le persone più timide o quelle che vi entravano con qualcosa da nascondere, una volta presa in mano la cornetta e composto il numero con cui volevano comunicare, non riuscivano ad esimersi dal parlare, come se si trovassero in un’isola sperduta, lontani da tutto e da tutti, incapaci di trattenere le parole che non avrebbero voluto dire e ne riversavano decine e decine .
Spesso l’unico limite veniva posto non da chi telefonava, né dal numero sempre maggiore di persone che attendevano di entrarvi, che pure mugugnavano sempre più rumorosamente, ma dai soldi spicci o dai gettoni che occorrevano per prolungarla.
Una volta terminati la comunicazione cadeva ed il ricevitore doveva essere riagganciato, con grande soddisfazione di chi aspettava fuori.
In quel momento, chi usciva rientrava dal mondo magico delle parole telefoniche e, davanti quei visi torvi, stanchi della lunga attesa, aveva anche parole gentili e si scusava per il prolungarsi di una telefonata che doveva essere breve. Chi entrava, tutto felice di impadronirsi a sua volta della cornetta magica, tranquillizzava la fila delle persone che restavano fuori con la certezza di impiegare poco tempo. Ma, non appena si apriva la comunicazione, i suoi occhi si illuminavano, come rapiti da una oscura forza telefonica e a nulla valevano le proteste ed i mugugni per ricordare l’impegno di essere breve.

CHE ORA E' ?


La domanda veniva rivolta da un tizio che aveva le braccia ricolme di orologi da polso e, come se non bastasse, poiché indossava anche un panciotto, si notava una serie di catenelle che sporgevano dai taschini di questo a cui presumibilmente si trovavano attaccati degli orologi da taschino. Non solo! Il suo cappello era in realtà una fedele riproduzione di un orologio a cucù. Per giunta anche nelle caviglie aveva degli orologi.
Le persone distratte che gli passavano vicino, a quella domanda rispondevano consultando il loro orologio e dicendo l’ora che vi si ritrovavano sopra.
Si immaginavano di ricevere un “grazie” come risposta.
Avevano un sobbalzo quando invece si sentivano urlare:”Sbagliato!!” e poi soggiungere: “Sono le circa meno quasi!! Rimettete i vostri orologi che non indicano l’ora esatta!!!”.
Solo in quel momento lo osservavano e pensavano che non doveva avere tutti i venerdì, oppure che si trattava di una trovata pubblicitaria stravagante di qualche marca di orologi.
Se qualcuno gli rispondeva che non lo sapeva, lui gli ribatteva:”E’ ora che ti compri l’orologio!” e poi aggiungeva:”Se vuoi ne ho diversi modelli, ma tutti senza tempo!!”
In effetti, tutti quegli esemplari così ben esposti una sola cosa avevano in comune, oltre al fatto di essere orologi: erano ugualmente privi delle lancette!